mercoledì 12 settembre 2018

"Cosa sognano i pesci rossi" di Marco Venturino

Ho terminato questa mia profonda lettura poco fa. Come ti avevo promesso, inizierò a buttar giù alcune mie considerazioni riguardo a questo splendido e illuminante manoscritto (o forse ottenebrante, data la triste, ineluttabile e cruda realtà che l'autore affronta?...😟). 
Le mie riflessioni accompagneranno, come sono solita fare, le citazioni per me più significative (quelle da me evidenziate con accanimento, ma con una matita per evitare di impiastricciare le pagine di questo stupendo racconto), tentando in ogni modo di allontanare un possibile spoiler dell'opera.
Il primo protagonista si chiama Pierluigi Tunesi, ha quarantacinque anni ed è, o meglio, era amministratore delegato di un'importante azienda multinazionale di apparecchiature elettroniche. Il signor Tunesi ora è diventato il numero sette, sì perché il letto del reparto di Terapia intensiva sul quale è costretto a vivere porta quel numero. Il numero sette del box tre del reparto di Terapia intensiva di una clinica di Milano.
Tunesi è malato: un cancro aggressivo al polmone lo ha condotto in sala operatoria, sotto i ferri del dottor Fulgenzi. Un'operazione impossibile, ma viene fatto il possibile per il paziente...

"Pierluigi, il pesce rosso, l'osservato, il mito, l'immobile, il prigioniero del corpo relegato in questo letto che, come una vasca di un acquario troppo piccolo, è l'unico esistere che mi compete."
Il titolo potrebbe essere fuorviante: qui non viene descritto il probabile mondo onirico dei pesciolini rossi; i pesci rossi sono i pazienti della Terapia intensiva, coloro che non se la passano troppo bene, che non riescono più a esprimersi a parole (perché in stato comatoso, o, come nel caso di Tunesi, tracheotomizzati), ma che continuano a sognare, a pensare e a sperare di riaffiorare in superficie il prima possibile da quell'acquario davvero troppo angusto.


Luca Gaboardi è l'altro protagonista del romanzo: il portavoce della storia di Tunesi, degli altri pesci dell'acquario e della sua stessa tortuosa storia di vita. Gaboardi è un intensivista, un rianimatore, insomma, un anestesista.

"In realtà di vita non riesco a salvare neppure la mia" 

Si presenta così il dottor Gaboardi. Un matrimonio fallito alle spalle e l'alcol per dimenticare, per non pensare agli errori commessi, o a ciò che vede quotidianamente all'interno dell'ospedale in cui presta servizio. 
"La vita è come una navigazione e l'alcol è la mia barca."


"...non ti sei accorto di vivere perché disponevi, credevi di disporre, di un credito illimitato. E per la prima volta pensi, con una lucidità spaventosa, che il credito è finito."
Pierluigi Tunesi riflette sul suo letto d'ospedale. Non gli rimane altro da fare che abbandonarsi a queste dolorose riflessioni, fissare l'orologio appeso alla parete che gli ricorda lo scandire e l'inesorabile scorrere del tempo e attendere l'orario di visite per rivedere la moglie, Clara e la figlia, Alessandra.

Valini è un altro medico, un vero missionario (l'ho adorato...), che costringe Gaboardi a pensare e ad affrontare il problema della coscienza, ovvero: 
"pesante fardello, rimasto come un organo inutile, filogeneticamente derivato da un modello ancestrale, che anni di professione, di compromessi e di ingiustizie, di dolore inspiegato e inspiegabile, di personale inadeguatezza morale, di perdita di riferimenti, mi avevano aiutato a scaricare dalle spalle."

Gaboardi, come si sol dire, si è costruito una bella corazza e non può commuoversi di fronte alla sorte di ogni paziente. 


"E io vedendomi riflesso nei suoi occhi, mi rendo conto di quanto sono importante. Proprio adesso che non valgo più nulla, che per il mio consiglio d'amministrazione non sono altro che un episodio che fa scuotere il capo e mormorare frasi di circostanza, che qualsiasi compagnia d'assicurazione, che prima avrebbe fatto carte false per avermi come cliente, adesso non mi vorrebbe più nemmeno come voce per la beneficenza natalizia, io, tramite Clara, m'accorgo di essere rilevante come persona. Il suo amore che mi vuole anche così: inutile, dolente, ripugnante."
Clara sta accanto a Pierluigi. A volte basta un sorriso o una carezza per fargli capire il suo amore, il suo esserci per lui. Sempre e a prescindere dalla situazione. Un amore così forte il loro, che mi ha commossa moltissimo. Un amore che fa sperare a Pierluigi di uscire il prima possibile per poter stare accanto alla moglie, anche in silenzio, senza dire una sola parola. 

"Insomma, le parole non sono tutto. 
I pesci, infatti, non parlano ma, ormai ne sono sicuro, sanno benissimo cosa è l'amore."

"Ho imparato bene in questa maledetta vasca dei pesci rossi, gli occhi riescono a dire più delle parole: le parole spesso mentono, gli occhi meno."
Pierluigi non può parlare a causa della tracheotomia, ma ha imparato a leggere lo sguardo delle persone intorno a sé.


"Quando c'è l'occasione spesso non sei pronto e quando sei pronto l'occasione non si fa vedere. O magari sei tu che non riesci a coglierla, perché anche riuscire a vedere le cose non è così semplice. La luce non è uguale per tutti: così come ci sono i miopi e i presbiti."
I casi della vita... È difficile cogliere l'occasione: giunge quando non siano pronti a coglierla, o, forse, non siamo in grado di focalizzarla in modo nitido... Con il senno di poi, come sempre, è tutto più semplice, no? 😥
Pierluigi affronta queste riflessioni cariche di angoscia, di tormento ripensando alla vita che un tempo gli era appartenuta.

"I vecchi non corrono, e non perché non ce la fanno: perché hanno capito che non serve."
Il pensiero di Gaboardi. La sua rassegnazione come medico di fronte a situazioni in cui un minuto in più o un minuto in meno non contano granché... Luca Gaboardi indossa una maschera di cinismo e di indifferenza ogni giorno per non dover soccombere, per lasciarsi scivolare addosso la vanità dei medici carrieristi, che vedono Tunesi come un catorcio e niente di più. Ma Gaboardi, come Valini, è diverso da tutti gli altri medici di quel reparto: dentro di lui respira ancora la compassione e l'amore per il prossimo. Quel tipo di amore che ti porta a chiamare una persona con il suo nome di battesimo e non con uno stupido numero appiccicato al suo letto d'ospedale.

Che dire? Un romanzo che mi ha lasciata senza fiato, che mi ha costretta a riflettere, che mi ha fatto scendere anche qualche lacrima. Il linguaggio, molto tecnico, non è così semplice: l'autore, Marco Venturino, è direttore della divisione di Anestesia e terapia intensiva all'istituto Europeo di Oncologia di Milano. 

"Vorrei solo che rimanesse addosso, a chi ha avuto la pazienza di leggere questo libro fino in fondo, un odore particolare delle cose umane. Un odore che viene fuori dalle zone di confine tra la vita e la morte, ove i silenzi della vita e i rumori della morte assumono fattezze di giganti deformi." 
Sono queste le parole utilizzate dallo scrittore/medico, nella sua postfazione, per congedarsi dal suo lettore. 
Sì, io sono riuscita a fiutare questo odore, anzi, mi è entrato dentro con forza e mi ha ricordato che la vita è una e vale la pena viverla fino in fondo. Esistono tanti aspetti positivi nella vita di ognuno di noi per cui valga la pena lottare giorno dopo giorno, senza arrendersi. Mai. L'amore e l'amicizia sono due componenti essenziali del nostro battagliare quotidiano, due valide ragioni per amare la vita. ❤ E, a tal proposito, io ne approfitterei per ringraziarti, dal momento in cui sei stato proprio tu ad avermi consigliato (o forse ti ho estorto?) questa magnifica lettura così profonda e ricca di significati. ❤ È vero, in questo libro viene affrontata soprattutto la morte, ma allo stesso tempo la vita: non potrebbe esistere la vita senza la morte, dico bene? 😉😯
Grazie. P.s. Abbiamo diversi interessi in comune e tra questi rientra sicuramente il genere di letture! 😊 Comunichiamo a modo nostro e "il tutto" è nato da una situazione insolita, ma è bello così! 😊 "Il tutto" fa parte della vita.

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