sabato 30 luglio 2016

Uno spunto di riflessione grazie ad un romanzo...

Vorrei premettere che mi diletto, di tanto in tanto, a " soccorrere " ragazzi e bambini che incontrano, a volte, qualche difficoltà nello studio; o che semplicemente vorrebbero migliorarsi, potenziando le proprie competenze in vista di una importante interrogazione scritta o orale. È vero: non si tratta di un'occupazione stabile e sicura, ma adoro potermi sentire di aiuto per loro e, inoltre, mi viene costantemente concessa l'opportunità di imparare... 
Seneca sosteneva, più o meno, che non basterebbe la durata di una vita intera per poter venire a conoscenza di tutte le informazioni presenti sulla Terra! Che tristezza!! Quanto aveva ragione il filosofo...

" Piccolo albero "



Durante uno dei miei " soccorsi " ad uno studente, posso affermare di esserne uscita nuovamente più ricca: ho scoperto un romanzo, che, probabilmente, non mi sarebbe mai capitato di leggere... Poi, certo, mai dire mai!
Il romanzo si intitola: " Piccolo albero " e il suo autore è: Forrest Carter. Mi trovo, all'incirca, a metà lettura e due passi in particolare hanno attirato le mie riflessioni: essi riguardano la delicata tematica della morte e della vita dopo di essa.
Vorrei condiverlo con voi, nella speranza che possa risultare di vostro gradimento, come lo è stato per me...

" Nonna disse anche che tutti quanti hanno due menti. Una ha a che fare con le necessità della vita fisica, e di essa bisogna servirsi per capire come procurarsi un tetto, cibo e quant'altro occorre al corpo. Bisogna usarla per sposarsi e avere figli e cose simili. Di quella mente abbiamo bisogno per tirare avanti. Ma ne abbiamo una seconda che non ha niente a che fare con cose del genere. Questa, disse la nonna, è la mente dello spirito. " 
E infine:
" Quando il tuo corpo muore, mi spiegò la nonna, con lui muore la mente del corpo, e se per tutta la tua esistenza non hai fatto che pensare a quel modo ti ritrovi con uno spirito non più grande di una noce di hickory, perché la mente dello spirito è quel che sopravvive quando tutto il resto muore. "
Questi sono solo degli stralci del profondo romanzo di Carter, ma in esso sono contenuti molte altre parti ricche di preziosi insegnamenti.

La mia idea di vita oltre la morte


Ho voluto condividere con voi questa lettura perché io credo che, dopo tutta questa " messa in scena ", comunemente chiamata: vita, possa esistere un qualcosa... Un posto in cui si potranno gettare le maschere dell'ipocrisia e in cui sarà attuabile l'essere se stessi!
Come la nonna del giovane protagonista del romanzo di Carter, ritengo che sia preferibile allenare il " muscolo " della mente dello spirito, tramite la comprensione verso il nostro prossimo ( lei stessa ammetterà che comprensione e amore si identificano ). Perché, in fondo, la morte giunge e continua a manifestarsi in tutte quelle persone, che, seppur ancora viventi, aspirano ad obiettivi materiali quali: il denaro, il mero aspetto esteriore, il proprio interesse ecc...
Certo... Non possiedo le prove infallibili dell'esistenza di una vita migliore dopo il nostro ultimo respiro; tuttavia, Blaise Pascal ci spingerebbe ad una scommessa su Dio: che Egli esista o meno, vale la pena tentare a vivere in previsione del Suo giudizio, no... ?

martedì 26 luglio 2016

La superiorità nella semplicità emotiva dei cani

Questa mattina ho guardato il video di un cagnolino, adottato recentemente, che corre e si dimena dalla gioia come un mattacchione! Il motivo? Un piccolo e semplice pezzo di pizza...
Osservando quelle simpaticissime immagini in successione, non ho potuto fare a meno di meditare su un fatto: in quanto esseri umani, saremo pur dotati dell'immenso potere della ragione, ma il più delle volte tralasciamo, nell'arco della nostra esistenza, elementi che condividono ben poco con la sfera del razionale, ma che non dovrebbero essere dati per scontati...


Apprezzare le piccole cose...


Saper godere di quelle positive, seppur minute, opportunità che ci vengono offerte nel nostro quotidiano è già una gran cosa! Ma dubito che tutti noi ce la potremmo cavare in questa " abilità "...  
La maggior parte delle persone è quasi quotidianamente allenata per esprimere le proprie lamentele ( dai comuni cliché, quali: " non ci sono più le mezze stagioni ", fino al litigio con il vicino di coda, al supermercato, che ha tentato di accelerare il suo arrivo alle casse, scavalcando gli altri da vero maleducato... ). Con questo, io non vorrei mai indossare le vesti di avvocato difensore nei riguardi di maleducati e irrispettosi che si incontrano pressoché quotidianamente!!
Dico solo che, davanti alla maleducazione altrui si può fare ben poco e forse, la soluzione ideale ( nei casi semplici, come quello del supermercato ) sarebbe quella di ignorare determinati atteggiamenti infantili e non cedere alla straziante e nauseabonda polemica...
Apprezzare il fatto di essere persone gentili e ben educate ( o almeno di reputarci come tali, solo dopo una profonda e attenta autocritica ) potrebbe essere un buon modo per scatenare più positività.

Emozioni semplici


I cani hanno molte cose da insegnarci! Essi provano ( o almeno, così si pensa... ) sentimenti semplici, ma non incoerenti tra loro! Sanno esprimerci la loro gioia, ogni volta in cui si avvicinano a noi scodinzolando, oppure possono provare rabbia ogni volta in cui subiscono dei soprusi... 
Noi, al contrario possiamo provare un'emozione complessa come l'invidia: complessa in quanto costituita da un mix di svariate emozioni negative.
La maggior parte dei nostri amici a quattro zampe sembra rispettare una legge fondamentale di comportamento: buono con i buoni, cattivo con i cattivi. Elementare no... ?


Le mie personali conclusioni


Ritengo che la semplicità sia un grande modello da inseguire: specie all'interno delle relazioni umane. Amare e contemplare la semplicità del quotidiano: un tramonto all'orizzonte, l'aria gradevolmente frizzantina delle albe estive, un semplice gesto d'amore di un proprio vicino come l' " esserci per noi ", o una musica che ci scorre nelle vene e che ci fa sentire vivi!


L'apparire e l'essere

" Essere o non essere ": dilemma amletico, ma reinterpretabile con una chiave di lettura più moderna. È meglio l'apparire o l'essere... ?



Tutta apparenza


Se accendiamo la tv, in determinate trasmissioni, ci sentiamo tartassare da un'esaltazione alla bellezza e al mero aspetto esteriore... Donne magre e perfette, che si servono del proprio corpo per esibirsi in tv, sulle copertine dei giornali o su internet ecc... 
Il bello è che abbiamo lottato in ogni modo per raggiungere la tanto agognata parità dei diritti e poi... ? Abbiamo tanto desiderato ( e continuiamo a farlo ) la parità, ma molte donne si mostrano quasi nude e per quale ragione? Per far parlare gli uomini: la maggior parte dei quali ( senza troppe ipocrisie ) si scioglie di fronte a qualche parte scoperta del corpo femminile!!

La mia idea di "essere"


Non esistono solo ed esclusivamente donne pronte a mostrare il proprio corpo ( e io direi: e menomale!! ); molte donne danno ancora peso all'essenza e lo dimostrano, sfoggiando intelligenza e una buona cultura ( e, certo, se hanno anche un bel fisico: ben venga, no? ). 
La società in cui viviamo, però, pare premiare l'elemento estetico e, alla fine, sembra del tutto naturale prendere esempio dalle donne ai primi posti in classifica per quanto riguarda lo scandalo del momento o il topless estivo ecc...
Potrei benissimo essere accusata di invidia nei confronti delle donne-immagine ( e forse un pochino corrisponderebbe al vero... ), tuttavia io ho una mia idea: l'apparire non conta nulla senza l'essere! Come le tenebre notturne non potrebbero esistere senza le luci diurne.
E poi diciamocelo con tutta franchezza: alla fine del nostro viaggio su questa Terra, quanto potrà valere l'apparenza in sé? Il corpo è materiale e come ogni ente materiale è destinato a deperire ( anche se adotteremo ogni rimedio anti-età ), perciò, alla fine della favola sarebbe fantastico che restasse di noi un bagaglio di esperienze e di saggezza, da poter condividere con il/la proprio/a partner e da trasmettere ai propri figli, no?

venerdì 22 luglio 2016

La ragione: un dono, oppure una punizione... ?

L'uomo, milioni di anni fa, ha imparato ad utilizzare il fuoco, la ruota e, piano piano ( servendosi dell'esperienza ) è riuscito ad ampliare le proprie conoscenze. La sua scatola cranica ha subito un graduale aumento volumetrico per ospitare un cervello via via più grande e, quindi, più funzionale, ma per quale motivo... ?
Io mi chiedo, a volte, se questo progresso della conoscenza giochi o meno a nostro vantaggio...




I pro della ragione:


Di sicuro avremmo imparato a cuocere meglio i nostri cibi ( e lo possono dimostrare le innumerevoli trasmissioni di cucina, presenti alla tv!! ); saremmo anche riusciti ad inventare mezzi di trasporto, dei quali non potremmo farne a meno: si pensi all'automobile o ai mezzi pubblici come il treno, l'autobus e l'aereo. Per non parlare, poi, dei progressi in ambito tecnologico: il primo telefono di Meucci, trasformatosi poi in un cellulare, smartphone o i-phone ecc... Il computer ha rivoluzionato la nostra vita e, ora, siamo in grado di venire a conoscenza di moltissime informazioni, che prima dovevano essere ricercate tra gli scaffali di una biblioteca o tra riviste e giornali dall'aspetto prettamente cartaceo! Un grandissimo risparmio di tempo e di energie, certo...

Alcuni contro...


Troppe comodità, a mio parere, conducono ad un impigrimento progressivo del proprio cervello ( che ha tanto faticato per raggiungere le sue attuali dimensioni! ); o almeno: questo rischio non potrà presentarsi tra coloro che stanno continuando ad evolversi, scoprendo nuove tecnologie e modi di affrontare la vita di tutti i giorni e lavorando con perseveranza e dedizione a questo importante obiettivo sociale. 
Ma per noi consumatori... ? Io stessa mi rendo conto di non essere in grado, a volte, di eseguire un calcolo ( non semplicissimo, ma nemmeno troppo complicato ) senza l'ausilio di una calcolatrice... 
Quella che si sta creando, o che, forse ( senza badare troppo ad allontanarmi da deprimenti eccessi di pessimismo ), si è già estesa a macchia d'olio, è una grave dipendenza dalle comodità offerteci grazie a queste nuove invenzioni. 

Il mio punto di vista


Riconosco benissimo, tralasciando ogni tipo di ipocrisia, che non potrei mai allontanarmi per troppo tempo dal mio smartphone o dal mio tablet e sono altresì conscia del fatto che, se non fosse stato per quei pochi " cervelloni " ( che ci impiegano quotidianamente risorse ed energie ), io, oggi non potrei comunicare a voi il mio punto di vista in questo mio blog!
Tuttavia, ritengo una buona soluzione quella di sancire un intervallo di tempo, all'interno delle nostre giornate ( e questo potrebbe essere positivo soprattutto tra i giovani, che, molte volte, appaiono come: " drogati " di nuove tecnologie... ), in cui dovremmo stare a debita distanza da: smartphone, computer, play station ( e chi più ne ha, più ne metta! ) e quel piccolo spazio giornaliero potrebbe essere colmato dalla lettura di un buon libro: magari rispolverando quei cari e vecchi scaffali di biblioteca ( restando in argomento, se volete, a breve uscirà il mio piccolo romanzo thriller/noir ... ), oppure scambiare due parole con le persone amiche che abbiamo intorno e riflettere, anche per un solo istante della nostra giornata su quanto la vita scorra in fretta e su quanto siamo s-fortunati, ohps! Volevo dire: fortunati, ad avere un cervello per pensare!

martedì 19 luglio 2016

Il " giusto mezzo "

Il filosofo Aristotele sosteneva che la virtù etica consiste nella " medietà ": ovvero nella disposizione a scegliere il " giusto mezzo " tra un vizio, che va all'eccesso e il suo " compagno ", che tende al difetto.
In fin dei conti, la ricerca aristotelica del " giusto mezzo " non fa altro che inseguirci, nella nostra vita quotidiana, giusto? Ma cavolo quanto è arduo rintracciare la medietà in ogni situazione problematica!!


Sul posto di lavoro...


Sul posto di lavoro, la ricerca del " giusto mezzo " ( se si è i dipendenti e non i capi ) cozza leggermente contro l'etica del datore di lavoro: in genere, o ci si asserve al proprio capo, oppure... La porta dell'uscita è pronta per il nostro ultimissimo passaggio!! Lungi da me dal voler ammettere che qualunque datore di lavoro sarebbe unicamente pronto a renderci schiavi succubi dei suoi desideri... Tuttavia, un atteggiamento da servo sarebbe preferibile a scopo di mantenimento della propria occupazione e poi, una volta rincasati, basterà un: " nooooo!! " ( con tutte le imprecazioni umane, come contorno all'urlo liberatorio!! ) e una piccolissima valvola di sfogo troverebbe un sottile varco... 
Nel caso in cui, invece, ci trovassimo dalla parte del boss, avremmo due possibilità di scelta, mostrandoci, agli occhi dei nostri cari dipendenti: o come datori di lavoro magnanimi, umani e comprensivi; oppure in qualità di schiavisti dei tempi dell'antico " pater familias " romano. Se decidessimo di accettare l'indicazione propria dell'etica aristotelica, allora potremmo risultare capi umani: con un nostro regolamento da far rispettare ai dipendenti, ma muniti, al tempo stesso, di benevolenza verso coloro che contribuiscono a rendere funzionale un progetto ideato da noi stessi! E poi, è doveroso tener presente il ribaltamento della figura servo-padrone, che si prefiggeva il filosofo idealista Hegel: il padrone ha pur sempre bisogno del suo servo e vive grazie ad egli!

                                            In campo amicizia


È consigliabile un'attenta osservazione della ricerca del " giusto mezzo " anche e soprattutto all'interno delle interrelazioni personali. Di fronte al bivio con la strada verso la bontà e la gentilezza smisurata e la strada dell'egoismo e dell'invidia, sarebbe consigliabile un po' di polvere di stelle di Campanellino per potersi sopraelevare e superare tale diramazione stradale spiccando il volo! 
Se si imboccasse, infatti, la strada della bontà sempre e comunque, si rischierebbe di annichilirci e di sbatterci alla mercé di amici aventi secondi fini, i quali potrebbero aprofittarne di noi e del nostro buon cuore... 
Se si decidesse, invece, di intraprendere la strada dell'egoismo e dell'indifferenza verso il nostro prossimo, allora gli effetti sarebbero ancor più devastanti perché ci si riscoprirebbe soli in mezzo a ben sei miliardi di persone!
Insomma, anche in materia amicale, il mio consiglio è questo: buoni verso il nostro prossimo sì, ma tenendo sempre ben presente anche i nostri bisogni e le nostre umane aspettative...

Nell'educazione dei figli


È abbastanza comune, da genitori, porsi il quesito: risulterò ai miei figli troppo permissivo o, al contrario, esageratamente autoritario?
Perché, come ci insegna il saggio filosofo di Stagira, le estremità di un atteggiamento conducono al negativo, alla perdizione...
Se da un lato il permissivismo riflette la conseguenza di avere dei figli capricciosi e viziati; dall'altro, l'autoritarismo potrebbe generare dei ribelli, il più delle volte pronti a trasgredire il ferreo piano di regole di un genitore/generale!
Ma allora... ? Ed ecco far ritorno il magico ( e, oserei dire: estremamente complicato... ) "giusto mezzo "!
Fondamentalmente, nell'educazione dei figli, questo corrisponde al lasciare loro la libertà di sperimentare e, perché no, anche di sbagliare, sempre, però, con una certa quantità ( quantità non asfissiante ) di regole comportamentali come sfondo.
Certo, a parole sembra tutto molto più semplice, ma nella pratica risulta molto più complicato! 

Dovremmo, forse, partire dal presupposto che noi genitori, datori di lavoro, dipendenti o/e amici non siamo esseri divini perfetti, ma esseri umani, che, come tali, non risultano esenti da sbagli! Io credo che sia utile mettersi in discussione, ogni giorno: perfino quando sarà raggiunta da noi l'età della maturità e della saggezza; nella speranza che questo atteggiamento di autocritica venga trasmesso ai nostri figli o alle persone che abbiamo attorno... 
Siamo umani, non siamo divini e già ammetterlo, secondo me, è un buon punto di partenza. Conosco la partenza, ma rimango ancora all'oscuro della completezza dell'itinerario!

lunedì 18 luglio 2016

La scrittura: una medicina spesso molto efficace

Chi di voi ( e mi rivolgo in particolar modo ad un pubblico femminile... ) non ha mai tenuto un diario in età adolescenziale? Quello su cui si annotano i primi amori, o le prime dolorose delusioni sentimentali, oppure le nuove amicizie fatte a scuola?
Io ne possiedo ancora uno: in stile cartaceo, alla vecchia maniera! Perché oggi, sicuramente, se esiste ancora questa romantica abitudine, ci si servirà di: blog, siti web ecc... Tutti programmi tecnologici, sempre più all'avanguardia con l'avanzare dei nostri tempi.



La scrittura come sfogo


Avete mai provato a " riprodurre " le vostre emozioni, utilizzando il semplice inchiostro di una comunissima penna, oppure, se la vogliamo affrontare più in maniera moderna: con la tastiera di un computer?
Molte volte gli svariati impegni della nostra frenetica vita quotidiana ci fanno tralasciare la nostra sfera interiore più profonda: il vasto mondo dei sentimenti, che ci portiamo con noi, all'interno di un mondo sempre più materialista e spesso crudelmente reificante...
Basterebbe una manciata di minuti al giorno ( o quando se ne avverte maggiormente la necessità ) per " raccontarci a noi stessi" : attuare, in questo modo, una sorta di introspezione, riesaminando, su un foglio di carta o su uno elettronico, le esperienze vissute durante la propria giornata e le emozioni con le quali queste si sono accompagnate.
Il più delle volte ( non sempre, si intende... ) i nostri problemi acquisiscono una nota inferiore di gravità nel momento in cui essi vengono esposti. Perché, in fin dei conti, nessuno potrà offrirci una soluzione garantita ad essi, quanto un proprio senso dell'udito per poterci ascoltare. Se poi decidessimo di registrarli per iscritto, allora potremmo andare a valutarli e a rivalutarli nei giorni in avvenire: con ( si spera ) una più ricca conoscenza della vita e con la nostra super-personalizzata chiave di lettura.
Detto ciò, non vorrei mai definire come inutile la professione dello psicologo; tuttavia la scrittura potrebbe essere considerata come una possibile modalità di sfogo per la nostra psiche e non si potrà di certo sostituire interamente ad un percorso terapeutico mirato!


                                        Un romanzo: perché no?


Se si decide di seguire la via terapeutica della scrittura, perché non inventarsi una storia? Oltre all'esposizione e all'elencazione analitica delle proprie emozioni, potrebbe rivelarsi come un hobby davvero interessante quello di scrivere le vite di altri personaggi di pura invezione, che magari riportano gioie o delusioni simili alle nostre... Perché no?
Un altro buon modo di rilassarsi è quello, a mio parere ( il parere di una estranea all'ambito psicologico ), di estraniarsi dalla propria vita ( anche per un solo istante ) e concedersi alla creazione di altre vite; lasciandosi trasportare, in generale, dalla fantasia e dalla creatività! Sono convinta che, successivamente, sapremo trovare una soluzione ai nostri piccoli intoppi quotidiani!

                                Se poi diventasse il nostro lavoro...


In caso, poi, scoprissimo di avere talento nell'ideare storie, non ci rimarrebbe altro da fare che portare il prodotto della nostra fantasia al vaglio di un editore, sperando vivamente che la nostra sorta di terapia ( che, magari, al contempo, si sarà tramutata anche in una vera passione ) ci permetta di sbarcare il lunario! Oltretutto, alla giornata d'oggi: in assenza di lavoro, vale la pena reinventarsi, giusto? Quindi incominciamo a ricercare tra le lunghe liste di editori non a pagamento e poi... In bocca al lupo! Anzi, non tormentiamolo, povero lupo!! Diciamo, invece: buona fortuna!